Storia della pasta - ep. 3
Se nella prima puntata della “Storia della Pasta” avevamo chiarito dove è nata la pasta Tra Asia ed Occidente e nella seconda puntata abbiamo ripercorso la storia della pasta dalla preistoria all’anno Mille, oggi scopriamo il ruolo fondamentale della Sicilia nel regalarci la cosiddetta “pasta italiana”.
Si diceva dell’occupazione araba dell’isola dal 827 al 1091 d.C. In quella circostanza le popolazioni nordafricane avevano abbandonato la loro tipica vita nomade, di cui era tipico il solo couscous, formato di pasta ottenuto da grano duro macinato grosso (la semola) e lavorato tra le mani con poca acqua, che si consumava fin dalle origini bagnandola con una zuppa di erbe, radici e a volte all’interno montone, sulle coste pesce.
Il couscous, curiosamente, si era diffuso prevalentemente nel Tirreno non attraverso i mercanti arabi ma grazie ai pescatori di corallo di Tabarca, (un’isola davanti a Tunisi) dove si erano andati a stabilire molti “corallari” originari prevalentemente di Genova, che poi si spostarono anche in Sardegna, in Francia ed in Spagna. Ancora oggi infatti il couscous, oltre che in tutto il Maghreb, con nomi a volte differenti è comunque piatto tipico di tutte quelle coste.
Tornando in Sicilia invece, la parte di popolazione araba che si era definitivamente stanziata sull’isola trovò condizioni adatte alla coltivazione, che già in Sicilia si praticava ma con sistemi meno sofisticati. Le conosenze tecniche della cultura araba cotribuirono notevolmente a perfezionare la produzione di farina, l’essicazione della pasta e ad esse si deve l’idea di ridurre le sfoglie di pasta (la tracta romana) in fili sottili per velocizzarne l’asciugatura. Tutti metodi che non si sono mai diffusi nel Nord Africa ma sono rimasti tipici della Ṣiqilliyya, il nome arabo della Sicilia musulmana.
Per la cultura araba dell’epoca l’alimentazione era strettamente legata alla medicina esattamente quanto all’agricoltura. Come spiega l’antropologo Franco La Cecla, la Sicilia araba “era un paese dove si coltivava grano duro ‘per motivi ideologici’. Nel senso che il grano veniva coltivato senza alcun fine di commercio; ma solo per l’autoconsumo, per motivi legati alla medicina araba del IX secolo che voleva riscontrare il partimonio della conoscenza greca, ippocratea, con il proprio.
Vivere in Sicilia approfondì tali concetti con i contributi greci e romani che permeavano la cultura locale. Dice infatti poco più avanti La Cecla: “E’ il binomio Dionysos-Demeter, quello stesso esaltato da Paltone della Repubblica, dove l’ideale di vita è quello di chi consuma prodotti vegetali e formaggi e beve moderatamente vino, trascorrendo una vita pacifica e in buona salute fino ad età avanzata. […] Di questo ideale è fatta la dieta mediterranea, che come sempre non è solo una regola alimentare, ma comporta una norma, un discorso su ciò che è giusto, buono e bello fare per i viventi.”
La fusione tra le conoscenze locali siciliane e quelle arabe risulta evidente anche dal punto di vista lessicale: la pasta secca siciliana, prodotta nel XII secolo inizialmente a Trabia (dal nome della locale fortezza araba At Tarbi’ah, “la quadrata”), vicino Palermo, era detta ittrija in lingua locale e due secoli prima un lessicografo siriaco definiva itrija un piatto a base di “stuoie di semola” essiccate. Ma se in italiano antico (e in alcune regioni anche in italiano contemporaneo) la pasta si chiama tria, nel mondo arabo di oggi la pasta si definisce… makkaroni!
I vari formati odierni della pasta italiana hanno origine da quella fase storica, in cui si svilupparono due criteri base di esecuzione: i formati che derivano da piccoli frammenti di un impasto iniziale, probabilmente originati dalla creatività araba partita dal couscous, e quelli che implicano la stesura di una sfoglia poi variamente tagliata, che traggono certamente origine dalla tracta romana.
In Sicilia comunque in quei secoli il consumo di pasta era talmente comune che c’è addirittura un santo vissuto nel ‘300 nel cui processo di beatificazione sono testimoniati dei miracoli legati alla pasta. Fuori dall’isola, invece, la pasta per un lungo periodo non fu un alimento molto diffuso e a buon mercato.
La pasta secca è sempre stata di uso relativamente più popolare, nonostante i suoi costi inizialmente non fossero bassi, visto che la acquistava prevalentemente chi aveva bisogno di conservare piccole scorte alimentari per tempi difficili oppure chi andava per mare.
La pasta fresca e all’uovo, al contrario, ha rappresentato quasi fino all’800 un lusso (ricordiamo “maccheroni e raviuoli” citati da Boccacchio a metà ‘300 mentre rotolavano da colline di cacio nel paese di Bengodi!). Era prepararata solo nelle cucine dei ricchi mentre la gente comune la riservava agli eventi importanti.
I vari formati di pasta essiccata venivano prodotti invece “industrialmente” praticamente solo in Sicilia, da dove si esportavano verso le coste tirreniche e quelle africane musulmane: nell’isola la produzione aveva preso notevole piede, soddisfacendo sia la richiesta locale che quella per l’esportazione. Ma il monopolio non durò a lungo: la richiesta di pasta cresceva e ben presto altre zone del Sud Italia presero esempio dalla Sicilia. E di questo parleremo nella prossima puntata.
Annalena De Bortoli
Bibliografia
• Giovanni Boccaccio, Decameron, 1349/51, edizione Einaudi curata da V. Branca, 2014, EAN 9788806222581
• Alberto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Editori Laterza, 1999, ISBN 88-420-5884-X
• Jean-Louis Flandrin, Massimo Montanari (cura), Storia dell’alimentazione, Editori Laterza, 1997, ISBN 88-420-5347-3
• Franco La Cecla, La pasta e la pizza, Il Mulino, 1998, ISBM 88-15-06583-0
Fonti iconografiche
foto dell’autore, tranne:
Miniatura degli Arabi in Sicilia, presa qui (link: http://www.ilcampanileenna.it/gli-arabi.html)
Fortezza araba di Trabia, presa qui (link: https://www.comunetrabia.it/storia-e-cultura/)
Miniatura di Bengodi, presa qui (link: https://www.sapienstone.it/magazine/museo-del-parmigiano-reggiano-piccola-storia-del-re-dei-form-13083/)
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